Il licenziamento via WhatsApp

E’ di oggi la notizia riportata dal Sole 24 Ore che Carrefour abbia licenziato 52 dipendenti di un suo punto vendita inviando loro un messaggio tramite WhatsApp.

Sul punto ho rivenuto due precedenti. Il primo del Tribunale di Tribunale Catania sez. lav., 27/06/2017, (ud. 27/06/2017, dep. 27/06/2017) .

<<Il recesso intimato mezzo “whatsapp” il 25.3.2015 appare infatti assolvere l’onere della forma scritta (cfr. su fattispecie analoga App. Firenze, 05-07-2016), trattandosi di documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale in data 23.4.2015.

Sul punto va ricordato che, nella materia, da tempo, la Suprema Corte ha evidenziato che “in tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali”, potendo ” la volontà di licenziare… essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara” (Cass., civ. sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652, ove è stata ritenuta corretta la decisione del giudice di merito, secondo cui “la consegna del libretto di lavoro…da parte della società con l’indicazione della data di cessazione del rapporto deve essere considerato atto formato di recesso”; in tal senso, v. anche Cass., civ. sez. lav., 18 marzo 2009, n. 6553).

La modalità utilizzata dal datore di lavoro, nel caso di specie, appare idonea ad assolvere ai requisiti formali in esame, in quanto la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca, come del resto dimostra la reazione da subito manifestata dalla predetta parte>>.

Il secondo precedente viene citato dalla stessa sentenza del tribunale di Catania ed è la Corte d’Appello di Firenze, sentenza del 05-07-2016.

Evidentemente il Giudice ha ritenuto ricorrere i presupposti non solo della provenienza ma anche quelli della data di invio e ricezione nonché dell’autenticità. Del resto, come risulta dalla motivazione della sentenza parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro il documento informatico con il licenziamento (messaggio WhatsApp), tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale in data 23.4.2015. Pertanto si presume che i temi dell’inalterabilità e della conformità all’originale del documento informatico, soggetti all’onere di eccezione a carico della parte interessata, non siano mai stati discussi né tantomeno pare che siano entrati nel processo.

Sulla prova forense, i requisiti di inalterabilità e conformità all’originale sono fissati con la legge 48/2008 di ratifica della Convenzione di Budapest del 23 novembre 2001, che rileva soprattutto dal punto di vista della prova penale ma rappresenta una validissima base anche per quanto riguarda la prova nel processo civile.

L’acquisizione della prova informatica deve essere rispettosa dei seguenti requisiti:

  1. integrità del dispositivo originale;
  2. autenticazione del reperto e dell’immagine (bit stream image) acquisita;
  3. ripetibilità dell’accertamento;
  4. analisi senza modificazione dei dati originari;
  5. massima imparzialità nell’agire tecnico;
  6. riferibilità all’autore del messaggio;
  7. certezza sulla data del messaggio.

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