Elezioni forensi: la Corte Costituzionale sul limite del doppio mandato

Sentenza 173/2019 
Presidente: LATTANZI – Redattore: MORELLI
Deposito del 10/07/2019

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113 (Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi), in riferimento, rispettivamente, agli artt. 3, 48 e 51 della Costituzione ed agli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost., sollevate dal Consiglio nazionale forense, con le ordinanze in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11-quinquies del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), inserito dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, in riferimento agli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost., sollevata dal Consiglio nazionale forense, con le medesime ordinanze.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 giugno 2019.

Considerato in diritto

1.– Il Consiglio nazionale forense (CNF), quale giudice speciale (da ultimo, sentenza n. 189 del 2001) – con le due ordinanze emesse nei procedimenti di reclamo elettorale di cui si è detto in narrativa e che, per l’identità del petitum, possono preliminarmente riunirsi per essere congiuntamente esaminate e decise – solleva questioni incidentali di legittimità costituzionale:

a) dell’art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge 12 luglio 2017, n. 113 (Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi), nella parte in cui prevede che i consiglieri dei consigli circondariali forensi non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, per sospetto contrasto con gli artt. 3, 48 e 51 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevole limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo che ne conseguirebbe;

b) del medesimo art. 3, comma 3, secondo periodo, per contrasto con gli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost., per l’illegittima e irragionevole compressione − dell’ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi quali enti pubblici non economici a carattere associativo − che tale divieto, a sua volta, comporterebbe;

c) dell’art. 11-quinquies del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135 (Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione), nel testo introdotto dalla legge di conversione 11 febbraio 2019, n. 12, nella parte in cui prevede, con norma di interpretazione autentica, che il divieto di elezione per più di due mandati consecutivi operi anche per i mandati iniziati anteriormente all’entrata in vigore della legge che ha stabilito tale divieto, per violazione degli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost., che conseguirebbe al superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica. E ciò sul rilievo che il conferimento, così operato, di effetti pro futuro a fatti accaduti in passato e a rapporti giuridici esauriti comporti appunto una compressione del diritto di elettorato passivo e attivo degli avvocati, e delle funzioni giudiziarie costituzionalmente riservate al Consiglio nazionale forense, quale giudice speciale investito del contenzioso in materia di elezioni dei consigli circondariali.

2.– Preliminarmente va confermata l’ordinanza – resa in udienza e che qui si allega – con la quale sono stati dichiarati inammissibili gli interventi di avvocati “terzi” nel giudizio introdotto dall’ordinanza n. 65 del r. o. 2019 e dell’Associazione nazionale forense in entrambi i giudizi.

3.– Nel merito, nessuna delle sollevate questioni è fondata.

3.1.– Non sussiste, in primo luogo, infatti, il vulnus che si assume arrecato, agli artt. 3, 48 e 51 Cost., dal divieto del terzo mandato consecutivo, di cui al censurato comma 3, secondo periodo, dell’art. 3 della legge n. 113 del 2017.

3.1.1.– Il divieto di immediata candidatura dopo lo svolgimento di «due mandati» era già previsto dall’art. 28, comma 5, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense).

Il censurato art. 3, comma 3, della successiva legge n. 113 del 2017 riproduce tale divieto in forma anche più circoscritta, in quanto impedisce la candidatura esclusivamente per il terzo mandato “consecutivo”, di conseguenza consentendola una volta decorsa una tornata elettorale dopo l’espletamento del secondo mandato consecutivo; e rendendo poi, comunque, possibile il terzo mandato consecutivo ove uno dei due precedenti mandati non abbia raggiunto la durata dei due anni.

3.1.2.– Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno ritenuto il così riformulato divieto di terzo mandato consecutivo compatibile con i valori costituzionali (sentenza 19 dicembre 2018, n. 32781). Alle stesse conclusioni era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici con riguardo allo stesso limite posto per le candidature dei consiglieri dell’ordine dei commercialisti ed esperti contabili (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanze 21 maggio 2018, numeri 12461 e 12462).

Il CNF è, invece, di contrario avviso e, nel sollevare le questioni di legittimità costituzionale della predetta disposizione della legge n. 113 del 2017, ne motiva la non manifesta infondatezza in chiave di puntuale replica agli argomenti posti a base delle richiamate decisioni della Corte di legittimità.

Sostiene così il rimettente che la ratio del divieto – individuata dalle Sezioni unite nella tutela del «preminente valore dell’avvicendamento o del ricambio nelle cariche rappresentative» – «integri un obiettivo di carattere essenzialmente politico […] che, seppur liberamente perseguibile dal legislatore nell’ambito della sfera di discrezionalità politica che gli è propria, sembra difficilmente comparabile, sotto il profilo del tono costituzionale, ai diritti e ai principi in tema di elettorato attivo e passivo».

Sottolinea, inoltre, lo stesso rimettente che la Cassazione avrebbe «fatto premio sull’analogia con i divieti di rielezione previsti per i Sindaci» ed osserva, in contrario, che «[a]ltro è, infatti, ragionare della rappresentatività di un ente territoriale avente carattere politico, altro è ragionare della rappresentatività di un ente pubblico associativo»; e «altro è, soprattutto, ragionare del divieto di rielezione relativo ad organi monocratici di vertice di enti politici – come il Sindaco, rappresentante organico del Comune e, di conseguenza, dotato di poteri gestionali diretti e di poteri autoritativi e di indirizzo di sicuro rilievo – e altro è ragionare su divieto di rielezione di membri di un organo collegiale chiamato a reggere un ente pubblico associativo avente natura meramente amministrativa».

La disposizione censurata – afferma conclusivamente il giudice a quo − non risponderebbe ad un «interesse di rilievo costituzionale in grado di “competere in ponderazione” con il diritto di elettorato passivo».

Ne risulterebbe, peraltro, compromesso anche il diritto di elettorato attivo ed il principio di libertà di voto «consacrati con particolare solennità nell’art. 48 Cost.», poiché alla «preclusione legale alla possibilità di taluni soggetti di partecipare a competizioni elettorali» corrisponderebbe inevitabilmente la «compressione dello spazio di libera scelta lasciato all’elettore, il quale si vedrà sottrarre la facoltà di scegliere, quali destinatari del proprio voto, taluni a vantaggio di altri».

3.1.3.– Gli argomenti sottesi alle censure rivolte dal rimettente alla previsione di incandidabilità a consigliere degli ordini circondariali forensi non sono condivisibili.

3.1.3.1.– Pur essendo effettivamente non pertinente l’analogia tra il divieto di rielezione dei consiglieri dell’ordine circondariale forense e quello relativo ai sindaci, sta di fatto che la previsione di un limite ai mandati che possono essere espletati consecutivamente è un principio di ampia applicazione per le cariche pubbliche − membri elettivi del Consiglio superiore della magistratura (CSM); componenti del Consiglio degli avvocati e procuratori dello Stato; membri del Consiglio nazionale forense; componenti del Consiglio nazionale del notariato, tra gli altri − ed è, comunque, un principio di portata generale nel più specifico ambito degli ordinamenti professionali.

Il riferimento va, tra l’altro, all’art. 9, comma 9, del decreto legislativo 28 giugno 2005, n. 139 (Costituzione dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, a norma dell’articolo 2 della legge 24 febbraio 2005, n. 34), che, con riferimento agli ordini dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, prevede che «[i] consiglieri dell’Ordine ed il Presidente possono essere eletti per un numero di mandati consecutivi non superiore a due». Analogamente l’art. 25, comma 13, primo periodo, dello stesso d.lgs. n. 139 del 2005 stabilisce, con riguardo al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, che «[i] membri del Consiglio nazionale durano in carica quattro anni ed il loro mandato può essere rinnovato per una sola volta consecutiva». Nello stesso senso l’art. 2, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169 (Regolamento per il riordino del sistema elettorale e della composizione degli organi di ordini professionali), relativamente agli ordini dei dottori agronomi e forestali, degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei geologi e degli ingegneri, dispone che «[i] consiglieri restano in carica quattro anni a partire dalla data della proclamazione dei risultati e, a far data dall’entrata in vigore del presente regolamento, non possono essere eletti per più di due volte consecutive». In proposito, l’art. 2, comma 4-septies, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), inserito dalla legge di conversione 26 febbraio 2011, n. 10, chiarisce che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 2, comma 4, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 169, si applicano per i componenti degli organi in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con il limite massimo di durata corrispondente a tre mandati consecutivi». Ed ancora, l’art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 169 del 2005 estende il divieto di elezione per più di due volte consecutive ai componenti del Consiglio nazionale dei dottori agronomi e forestali, degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, degli assistenti sociali, degli attuari, dei biologi, dei geologi e degli ingegneri. Allo stesso modo, gli artt. 2, comma 2, e 3, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 2005, n. 221 (Disposizioni in materia di procedure elettorali e di composizione del consiglio nazionale e dei consigli territoriali, nonché dei relativi organi disciplinari, dell’ordine degli psicologi, ai sensi dell’articolo 1, comma 18, della legge 14 gennaio 1999, n. 4, dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328 e dell’articolo 1-septies del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43) dispongono, rispettivamente per i consiglieri territoriali e per i membri del consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, il divieto di elezione per più di due volte consecutive. Mentre in ordine all’elezione dei membri dei consigli distrettuali di disciplina, quali componenti dell’organismo cui spetta l’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti degli avvocati, l’art. 2, comma 2, del regolamento del Consiglio nazionale forense 31 gennaio 2014, n. 1 (Elezione dei componenti dei Consigli distrettuali di disciplina), stabilisce un divieto di elezione per più di due mandati consecutivi, analogo a quello recato dalla disposizione che lo stesso Consiglio censura ora come giudice speciale.

3.1.3.2.– Non è poi esatto ritenere che il bilanciamento, operato dalla disposizione censurata, tra il valore dell’elettorato (attivo e passivo) e l’obiettivo antagonista del ricambio e dell’avvicendamento, si risolva in violazione del primo, né tantomeno che le finalità cui risponde il divieto del terzo mandato consecutivo siano – come sostiene il giudice a quo – prive di tono costituzionale.

3.1.3.3.– La peculiare ed essenziale finalità – che ha di mira la previsione che circoscrive (provvisoriamente, come si è detto) il diritto di accesso di taluni soggetti alla carica di consigliere dell’ordine circondariale forense – è quella, infatti, di valorizzare le condizioni di eguaglianza che l’art. 51 Cost. pone alla base dell’accesso «alle cariche elettive».

Uguaglianza che, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due (o più mandati) consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell’elettorato, connotato da tratti peculiari di prossimità.

Il divieto del terzo consecutivo mandato favorisce il fisiologico ricambio all’interno dell’organo, immettendo “forze fresche” nel meccanismo rappresentativo (nella prospettiva di assicurare l’ampliamento e la maggiore fluidità dell’elettorato passivo), e – per altro verso – blocca l’emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza; e ciò in linea con il principio del buon andamento della amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza, riferito agli ordini forensi, e a tutela altresì di valori di autorevolezza di una professione oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, in ragione della sua diretta inerenza all’amministrazione della giustizia e al diritto di difesa.

Valori, questi, riconducibili, dunque, agli artt. 3, 24, 51 e 97 Cost., che la disposizione censurata tutela in termini di ragionevolezza e proporzionalità, attesa la già sottolineata temporaneità (per una sola tornata) della descritta ipotesi di incandidabilità.

Né è sostenibile in contrario, come deduce il rimettente, che i descritti valori controbilanciabili (con il diritto di elettorato) non avrebbero “tono costituzionale”, per la ragione che, diversamente dai vertici monocratici di natura politica delle autonomie locali, i consigli circondariali degli ordini forensi sarebbero organi collegiali riconducibili a un fenomeno associativo con valenza prettamente privatistica.

Una tale prospettazione (non coerente alla evocazione dell’art. 51 Cost. con riguardo alle elezioni di organi di mere associazioni di diritto privato) è, comunque, in contrasto con le numerose funzioni pubblicistiche di vigilanza e rappresentanza esterna, sottese alla regolamentazione ordinistica delle professioni, tra le quali: la tutela dell’indipendenza e del decoro professionale degli iscritti; la tenuta degli albi; l’approvazione dei regolamenti interni; il controllo dell’efficace esercizio del tirocinio forense; l’organizzazione di corsi e scuole di specializzazione; la vigilanza sulla condotta degli iscritti; la costituzione di camere arbitrali, di conciliazione ed organismi di risoluzione alternativa delle controversie; la vigilanza sulla corretta applicazione nel circondario delle norme dell’ordinamento giudiziario. Funzioni, queste ed altre, di pari rilievo istituzionale, il cui insieme conferisce, appunto, ai predetti ordini forensi il carattere di enti di diritto pubblico a carattere associativo, che devono, come tali, sottostare alle esigenze di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost.

Esigenze rispetto alle quali risulta, dunque, coerente la previsione del divieto del terzo mandato consecutivo.

3.2.– Va, del pari, escluso il contrasto della disposizione su citata con gli artt. 2, 18, 118 e «in particolare» con l’art. 3 Cost., con riguardo all’ulteriore profilo dell’asserita negativa incidenza del divieto del terzo mandato consecutivo sulla sfera di autonomia degli ordini professionali.

Per quanto prima detto, gli ordini forensi sono, infatti, enti pubblici non economici a carattere associativo (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 24 giugno 2009, n. 14812; 27 gennaio 2009, n. 1874; 12 marzo 2008, n. 6534), istituiti per garantire il rispetto dei principi previsti dalla legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela dell’utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale.

Molte delle funzioni istituzionali attribuite agli ordini dal legislatore integrano una attività esterna destinata a concludersi con la formazione di atti soggettivamente e oggettivamente amministrativi a carattere autoritativo, perché emessi nell’esercizio di un potere riconosciuto in via esclusiva come espressivo di potestà amministrativa per finalità di pubblico interesse.

Deriva appunto da ciò l’obbligatorietà dell’iscrizione agli ordini circondariali per l’espletamento della professione forense e la peculiare natura di “associazione obbligatoria” degli ordini professionali, preordinata alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale, quali, in primis, la tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost., mediante vigilanza sull’adeguata competenza, sull’aggiornamento costante e sull’effettivo svolgimento della professione da parte degli avvocati.

In questa prospettiva, il legislatore se, da una parte, limita, in negativo, la libertà di associarsi in capo a chi voglia esercitare la professione forense, dall’altro, contempera l’autonomia, comunque ampiamente riconosciuta, degli ordini stessi, in modo da garantire che qualunque iscritto possa accedere in condizioni di effettiva parità alle cariche sociali. L’impedimento temporaneo alla ricandidatura appare preordinato a evitare la formazione e la cristallizzazione di gruppi di potere interni all’avvocatura, o quantomeno a limitarne l’eventualità, mediante il ricambio delle cariche elettive e la conseguente salvaguardia della parità delle voci dell’avvocatura.

3.3.– Neppure la disposizione di cui all’art. 11-quinquies del d.l. n. 135 del 2018, inserito dalla legge di conversione n. 12 del 2019, incorre nella violazione dei parametri costituzionali evocati dal Consiglio rimettente.

La norma censurata – che riproduce alla lettera il testo dell’art. 1 del decreto-legge 11 gennaio 2019, n. 2 (Misure urgenti e indifferibili per il rinnovo dei consigli degli ordini circondariali forensi), abrogato (con salvezza degli effetti prodotti e dei rapporti giuridici sorti sulla base di esso) dall’art. 1, comma 3, della stessa legge n. 12 del 2019 – è dichiaratamente volta a fornire l’«interpretazione autentica» dell’art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017.

E, a tal fine, appunto dispone che, «ai fini del rispetto del divieto di cui al predetto [secondo] periodo [del comma 3 dell’art. 3 della legge n. 113 del 2017], si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore».

In sede di esegesi dell’art. 3 della legge n. 113 del 2017, le Sezioni unite della Corte di cassazione (con la ricordata sentenza n. 32781 del 2018) avevano già peraltro in tal senso affermato la riferibilità del divieto della terza candidatura consecutiva «ai mandati pregressi e cioè anche a quelli espletati pure solo in parte prima dell’entrata in vigore della norma»; e avevano escluso che ciò ne implicasse una interpretazione retroattiva.

Queste conclusioni, revocate in dubbio dal rimettente, meritano, invece, di essere condivise.

3.3.1.– La finalità “interpretativa” (dell’art. 3, comma 3, secondo periodo, della legge n. 113 del 2017) esibita dall’art. 11-quinquies, inserito nel d.l. n. 135 del 2018 dalla legge di conversione n. 12 del 2019, anticipata dal d.l. n. 2 del 2019, risponde all’effettiva intenzione del legislatore (già espressamente enunciata nel disegno legge di conversione del predetto d.l. n. 2 del 2019) di eliminare, nell’imminenza del rinnovo dei consigli circondariali, ogni residua incertezza applicativa in merito al periodo intertemporale di riferimento del limite del doppio mandato, dopo che la soluzione interpretativa, cui era pervenuto, al riguardo, il CNF in sede giudiziaria, era stata ritenuta non corretta dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, e in risposta anche a specifica richiesta, rivolta al Parlamento, in un deliberato dell’Organismo congressuale forense del 21 dicembre 2018, affinché ogni dubbio al riguardo fosse tempestivamente superato con un intervento appunto di normazione primaria.

3.3.2.– Il contenuto precettivo attribuito alla disposizione interpretata dal legislatore del 2019 si uniforma puntualmente alla lettura offertane dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (in data, peraltro, antecedente a quella di formalizzazione delle candidature avverso cui è reclamo nei giudizi a quibus) e riflette, quindi, il “diritto vivente” quanto alla regola di rilevanza dei mandati espletati prima della entrata in vigore della legge n. 113 del 2017, ai fini dell’operatività del divieto del terzo mandato consecutivo.

3.3.3.– La disposizione così interpretata non esige poi di essere giustificata sul piano della retroattività, poiché essa non ha la portata retroattiva (in senso proprio), che le attribuisce, e perciò censura, il rimettente.

Detta disposizione non regola, infatti, in modo nuovo fatti del passato (non attribuisce cioè direttamente ai precedenti mandati conseguenze giuridiche diverse da quelle loro proprie nel quadro temporale di riferimento), ma dispone “per il futuro”, ed è solo in questa prospettiva che attribuisce rilievo, di requisito negativo, al doppio mandato consecutivo espletato prima della ricandidatura.

Il limite all’accesso alla carica elettiva, così introdotto dalla norma interpretata – come appunto già ritenuto dalla Corte di legittimità – «non implica altro che l’operatività immediata della legge e non una retroattività in senso tecnico e cioè con effetti ex tunc» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 32781 del 2018, che cita anche la sentenza di questa Corte n. 118 del 1994).

Il primo periodo dello stesso art. 3, comma 3, della legge n. 113 del 2017, a sua volta, del resto prevede una condizione di ineleggibilità degli iscritti che abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell’avvertimento; e, al riguardo, nessun dubbio è stato prospettato in ordine alla riferibilità di tale previsione anche alle sanzioni irrogate al candidato prima della entrata in vigore della legge stessa.

Allo stesso modo l’applicazione immediata del divieto del terzo mandato consecutivo a chi abbia già espletato i due precedenti consecutivi mandati costituisce, dunque, una misura ragionevolmente scelta dal legislatore del 2017, destinata ad operare, per il futuro, nelle successive competizioni elettorali forensi.

Questa Corte ha più volte già, del resto, affermato che attribuire, per via normativa, a determinati fatti o situazioni, anche antecedentemente verificatisi, rilievo immediato (per il soggetto cui si riferiscono) di requisito negativo o di condizione ostativa, rispetto all’accesso a cariche elettive (sentenza n. 236 del 2015) o al conseguimento di titoli abilitativi (sentenza n. 80 del 2019), non attiene al piano diacronico della retroattività (in senso proprio) degli effetti, ma a quello fisiologico della applicazione ratione temporis della norma stessa.

3.3.4.– Da qui la non fondatezza anche della terza residua questione in riferimento a tutti i parametri evocati.

La sentenza nel sito della Corte Costituzionale

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