Assegno di divorzio: attitudine a procurarsi un reddito di lavoro e relative condotte da parte del coniuge richiedente

Secondo la Cassazione, in sede di giudizio sull’assegnazione dell’assegno di divorzio, l’attitudine a procurarsi un reddito da lavoro e le relative condotte in tal senso da parte del coniuge richiedente, devono trovare adeguata considerazione nella decisione del giudice del merito.

La Cassazione, con ordinanza n. 25697/17, depositata il 27 ottobre, pubblicata su Diritto e Giustizia , dichiara manifestamente fondato un motivo di ricorso nel quale veniva dedotto <<l’omesso esame ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), di 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), per avere la corte del merito interamente omesso  esaminare le circostanze, pur decisive ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge 1. dicembre 1970, n. 898, dell’inerzia della ex-coniuge nella ricerca di un impiego e del rifiuto dalla medesima opposto ad una concreta opportunità lavorativa presentatale>>.

Il motivo in questione è stato ritenuto manifestamente fondato perché <<l’eventuale prova delle condotte allegate circa il mancato reperimento da parte del coniuge di una entrata economica frutto della propria individuale attività lavorativa, ha un rilievo decisivo per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno>>; ciò alla stregua del consolidato principio secondo cui <<deve trovare adeguata considerazione, nella decisione del giudice del merito, l’attitudine a procurarsi un reddito da lavoro>> (insieme ad ogni altra situazione suscettibile di valutazione economica) da parte del coniuge che pretenda l’assegno di mantenimento a carico dell’altro, <<tenendo quindi conto della effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, pur senza che assumano rilievo mere situazioni astratte o ipotetiche (Cass., ord. 4 aprile 2016, n. 6427; Cass. 13 febbraio 2013, n. 3502; Cass. 25 agosto 2006, n. 18547, ed altre; nonché, di recente, Cass. 10 maggio 2017, n. 11504)>>.

Secondo la Corte tale principio tanto più rileva in sede non di prima separazione, ma di definitiva cessazione della relazione coniugale in seguito al divorzio, e, come nella specie, di figli ormai grandi (nati nel 1998 e nel 2000), i quali dunque non necessitino della costante presenza fisica di un adulto.

Tale elemento, pur essendo oggetto di discussione nel giudizio di merito, è stato completamente ignorato nella motivazione della sentenza impugnata.

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